
Maria Grazia Salonna
GLI “SCEMI DI GUERRA”. I militari ricoverati al manicomio di Ancona durante la Grande guerra.
ANCONA, Affinità Elettive Edizioni, 2015
pp. 226, € 18,00
ISBN: 978H88H7326H274H9
di Valentina Sordoni
Nel corso dell’intero 2015 che ci siamo lasciati alle spalle, numerose iniziative culturali, lungo tutto lo stivale, hanno ricordato il centenario della Grande Guerra: mostre, conferenze, saggi storici sono stati dedicati al primo conflitto mondiale spesso raccontandocelo da prospettive inconsuete, lontane dalle tradizionali impostazioni scolastiche. È il caso del volume firmato da Maria Grazia Salonna, Gli “scemi di guerra” I militari ricoverati al manicomio di Ancona durante la Grande Guerra, edito da Affinità Elettive, una piccola casa editrice indipendente di Ancona in grado di offrire pubblicazioni di alta qualità all’interno di un mercato editoriale scosso da forti venti di crisi.
Spinta dalla volontà di ricostruire la storia dei soldati ricoverati nel manicomio di Ancona, Salonna recupera e interpreta le loro cartelle cliniche sepolte negli archivi e sopravvissute all’incuranza che si è fatta oblio con lo scorrere del tempo e, attraverso un meticoloso lavoro di ricerca, riporta alla luce le traumatiche esperienze belliche di centinaia di uomini, protagonisti anonimi e silenziosi della Grande Guerra. Inaugurato nel 1901, durante il conflitto il manicomio vantava la prestigiosa direzione del Dott. Gustavo Modena, assistito dalla moglie, la Dottoressa Giulia Bonarelli, laureatasi in Medicina all’Università di Bologna, uno spirito brillante, una studiosa attenta e particolarmente attiva nei dibattiti psichiatrici contemporanei. Sotto la loro guida il manicomio ospitò numerosissimi soldati che manifestavano disturbi psichici differenti ma tutti accomunati dallo stesso tentativo di rifuggire la realtà che stavano vivendo.
Il volume apre uno squarcio sul delicatissimo rapporto folliaH guerra, un binomio che ha iniziato a imporsi, nella sua potenziale drammaticità, sin dal lontano conflitto francoH prussiano del 1870, anche se è stato soltanto durante lo scontro tra Russia e Giappone nel 1904 e la guerra di Libia nel 1911, che si è iniziato a parlare nello specifico di nevrosi di guerra di massa. Davanti alle manifestazioni nevrotiche dei soldati al fronte le reazioni delle gerarchie militari erano quanto mai ostili, poco comprensive: «i documenti ufficiali (le Commissioni d’inchiesta, le sentenze dei tribunali militari) ebbero la tendenza a ridurre l’entità del fenomeno per quanto riguardava la sua conoscenza al pubblico e testimoniarono la decisa volontà di reprimerlo duramente nel corso della guerra», sottolinea Salonna (p. 24). A ciò contribuiva l’orientamento seguito dalla psichiatria di Stato, convinta sostenitrice che il soldato incapace di una vita militare fosse inadatto a esperienze collettive di convivenza, deviato e moralmente incompleto e che per il suo recupero fossero necessari rimedi terapeutici basati soprattutto sull’inflizione del dolore. Di altro incomprensibile dolore.
Confusi, lo sguardo smarrito in un altrove ignoto, i soldati ospitati nel manicomio di Ancona serbavano nell’intimo tutto il nonsenso della guerra, il dramma delle trincee, il sangue dei corpi caduti e ammassati, l’odore nauseante della vita che si spegne, la Morte. Scriveva Ungaretti nel 1916:
Sono una creatura
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo.
Per non dimenticare.